Emanuela Bussolati

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Il mio primo Opinel

Il mio primo Opinel

La bellezza di un attrezzo di lavoro è fatta di quelle lievi deformazioni che sposano una mano e il suo modo di lavorare.  Puoi innamorarti di una forma e di una funzione ma realmente lo strumento sarà tuo, quando subirà la consunzione d’amore: quel logoramento naturale che viene da un tale legame con questo oggetto, da sceglierlo e preferirlo per i lavori più accurati, sempre, rispetto ad altri.

Il mio primo Opinel è stato un doppio innamoramento: per la forma che aveva la lama, per le linee bionde del manico, per l’anello che ruotava… e anche per la responsabilità che comportava e  mi faceva sentire grande. Avevo 12 anni e mi piaceva sfidare la mia paura nel bosco di notte, in cerca di legna secca per alimentare il fuoco di bivacco del gruppo scout a cui appartenevo. Il coltellino, un semplice n. 8 era in tasca ma mi dava sicurezza. Lo usavo la mattina, per scolpire personaggi nei rami più curiosi. Poi per tagliare il pane e i pomodori. Poi per scavare i fossatelli intorno alla tenda… senza molte domande intorno all’igiene o alla resistenza della lama.

Così cominciarono ad apparire sul manico dei graffi e qualche piccolo dente sulla affilatura. Tanti segni, tanti piccoli ricordi. L’affezione cresceva tanto più quanto più il coltello era segnato, perché era sempre il migliore per quello che volevo fare. Io mi adattavo a lui, lui a me.

E’ l’Opinel con il quale ho tagliato i rami di nocciolo per i miei archi, lo gnomone delle mie meridiane, il cartone delle scatole obscure, le asticelle degli aquiloni. Infine ho fatto la punta alle mie matite colorate e adesso è nella scatola delle matite, un po’ trascurato come loro, in epoca di illustrazioni con Photoshop.

Lo prendo in mano e sento “quel” peso. Annuso “quell’odore”. Restituisco all’oggetto le incisioni dei miei ricordi. E’ il mio primo Opinel.  Ormai diverso da qualsiasi altro Opinel.

Se mi serve un coltello in giardino, vado a prenderlo, nella scatola delle matite colorate.