
Piripù Bibi, con la sua voglia di diventare grande, di inventarsi la sua vita, di scoprirne i momenti piacevoli e… anche quelli rischiosi, con coraggio e curiosità, ha vinto il premio Andersen di quest’anno, con una motivazione che non saprei bene tradurre in lingua Piripù, dunque lui forse non capirebb, ma è questa qui.
Per essere quanto mai coinvolgente e godibile, di assoluta originalità.
Per essere un libro semplice e lineare frutto di un attento e colto progetto linguistico e grafico.
Per regalarci un implicito invito a far sì che piccoli lettori e adulti possano incontrarsi e stare felicemente insieme.
Ne sono molto contenta.
E qui ringrazio pubblicamente la commissione del premio Andersen, consegnando loro il premio Piripù per l’attenzione e l’apertura.
L’intento di questa storia e dell’uso di questo linguaggio era far riflettere i grandi sul fatto che senza passione e senza gioco, non si può trasmettere il piacere di esistere, il piacere di esprimersi e infine il piacere di leggere. Ma soprattutto le prime due cose, perché il piacere di leggere non è indispensabile alla vita, anche se la arricchisce molto. Invece esprimersi e apprezzare i momenti belli, questo sì è indispensabile.

Quando pensai a Tararì tararera, mi dissi che era impossibile che qualcuno lo pubblicasse. E infatti, ai miei primi tentativi, ricevetti dei ni e dei no. Per essere tranquilla, mi confrontai con Antonio Panella, sensibile attore di teatro e animatore di tante letture con “antenne tese” verso i bambini. A lui devo il fatto di non essermi scoraggiata e la decisione, nel caso di ulteriori no, di autoprodurmelo.
Premio Piripù per il generoso incoraggiamento ad Antonio Panella e alla sua famiglia, Giulietta prima di tutti.
Ma Piripù, zampettando per la fiera di Bologna, trovò in Carthusia la sua possibilità di pubblicazione.
Premio Piripù per il coraggio a Patrizia Zerbi.
Mi arrivarono diverse mail in lingua piripù e la bellissima registrazione di Anna e Marco, che potete trovare poche pagine più indietro, in questo blog. Piripù saltellava e correva, Oh, zifulì, oh! Cichitì!
E poi la ricerca sul campo di Marina Cinieri, pubblicata su Andersen. Qualcosa che non avrei osato sperare.
Premio Piripù per la Ricerca a Marina Cinieri.
Malgrado il mio desiderio di linguaggio transculturale, mi ero resa conto che la lingua piripù era un gram-lo italianeggiante. Ma il gioco della lettura in piripù no. Quello è assolutamente trasversale. E vedere bambini di ogni provenienza rimanere in sospeso al “Mé mimia”, ridere come pazzi al “Pum pum patàm patapàm…stò!” e dondolarsi al “Nena nina, nina nena…” è per me una grande gioia.
Ma prima della ricerca di Marina Cinieri, non sapevo che la mia intuizione era dimostrabile “scientificamente”.

Disegnare un piripù è facilissimo. Bisogna imparare però a strappare. Strana cosa, i bambini, che piccolissimi sanno strappare molto bene, tanto più sono grandi, tanto più si trovano impacciati. Allora è vero che si nasce competenti e via via si selezionano le competenze, trattenendo solo quelle più immediatamente utili?

Comunque sia i Piripù vengono sempre bellissimi e appartengono naturalmente a un mondo pieno di colori e di differenze, che impareranno a gestire nel paese dei Piripù. Intanto però, qui, nel nostro mondo, i bambini che imparano a gestire la propria unicità e quella degli altri, si trasformano. Davvero! Ampliano il respiro, distendono il viso, fanno brillare gli occhi, acquistano centimetri, crescono. Come Piripù Bibi. Se sapessero quanto è utile e importante questa competenza, crescendo non la lascerebbero mai più da parte.
